Ora illegale

giovani inside…

Si fa fatica il primo giorno, il secondo, il terzo e così via… Adesso c’è la proposta dell’abolizione dell’ora legale, perchè pare, alcuni popoli dove la durata del giorno non è particolarmente significativa hanno detto che non serve. E siccome non serve a loro, il resto d’Europa deve adeguarsi? Per lo meno la notizia è stata venduta così: bisogna vedere se c’è stata libera interpretazione, se è stata trollata o se corrisponde parola per parola. A quanto pare, i leoni da tastiera l’hanno girata a modo loro: in realtà questo sondaggio pubblico al quale hanno partecipato online 4,6 milioni di persone (su circa 740 milioni di abitanti europei) sono quasi tutti del nord Europa. 3 milioni di tedeschi mentre meno dello 0,04% italiani. Il motivo per cui gli europei del nord non sono molto interessati è facilmente intuibile: loro, d’estate hanno già un considerevole allungamento delle giornate mentre noi dei paesi mediterranei non abbiamo una forbice esagerata tra luce e buio e lo spostare di un ora il tutto ci porta ad avere più luce in orari “utili”… Ma qui, prima che gli indignati di mestiere si scatenino, va detta una cosa: non si tratta di abolizione ma di rinuncia all’obbligo, ovvero ogni nazione può decidere se mantenere l’ora legale o no. Io personalmente la manterrei tutto l’anno: niente traumi, adattamenti ad un orario diverso e mantenimento dei vantaggi cioè comunque buio più tardi e niente luce troppo presto…

scavando nella memoria (… dei computers)

non c’entra col titolo ma oggi al parco è lo scatto migliore…

Una volta si frugava nei cassetti, nelle librerie, negli armadi, in vecchie scatole, si sprofondava in vecchi scaffali e si trovava di tutto. Biglietti, lettere, scartoffie, carabattole, cose care e altre meno… Se poi si è un accumulatore compulsivo come lo sono io, da scavare ce n’è veramente tanto. La versione più moderna di questa sindrome è quella che ti fa raschiare fino in fondo le memorie di vecchi computers, hard disk, memorie, cd e dvd-rom e scoprire cosa virtualmente hai lasciato in giro. Da questo disordine digitale si capisce anche a quale generazione si appartiene, perchè il fatto di non avere rinominato o classificato, documenti, musiche, foto, filmati ti fa capire che non si prevedeva di averne così tanti. Per esempio, in questo momento mentre sto scrivendo ho collegato un vecchio iPod classic, sapete quelli con schermi non touch (sembra quasi impossibile ora…), con la rotellina e il pulsante di conferma che comunque avevano delle memorie considerevoli anche per adesso. Sto ascoltando random le musiche memorizzate: circa 90 giga di ogni genere di musica, in questo momento Pinball Wizard degli Who, ma c’è veramente di tutto. Certo ogni tanto arrivano anche delle stilettate che ti trafiggono il cuore, facendone uscire ricordi di ogni genere ma anche quello ci sta. Non è spiacevole, ti fa riemergere un bel pò di cose e il bello che te le ricordi com’erano, non come i giri del ricordo ti mostrano quanto sia cambiata la realtà. Tornare sui luoghi d’infanzia è, nelle intenzioni, meraviglioso. Purtroppo l’esito è spesso deludente, ad essere ottimisti. Quindi armiamoci di buona musica, belle scartoffie, foto care e facciamo partire la memoria… Non dovrebbe deluderci..ricordi

CLOSE ENCOUNTERS…

Basta uscire presto…

Non abito in campagna, vivo nell’hinterland milanese-brianzolo e nonostante ciò, se ti fai una passeggiata presto, fai facilmente questi ed altri incontri. Ci sono anche lepri e coniglietti che però, timidissimi e spaventati, si allontanano prima di essere fotografati. poi ci sono quelli che si fanno solo sentire ma vederli è quasi impossibile: parlo dei picchi, di cui si sentono a brevi intervalli le raffiche delle loro beccate sulle cortecce degli alberi. Non c’è verso: suono, t’immobilizzi guardando nella direzione di provenienza, nulla. Riparti, altra raffica di colpi di becco che sembra sfotterti. Ma un giorno ce la farò a vederli…
E dire che quando, per problemi economici della mia famiglia, fui costretto ad andar via da Milano, ero in crisi, volevo tornare disperatamente nella mia città. Poi, dopo il matrimonio, spostatomi in Brianza vicino al parco di Monza, ho scoperto cosa vuol dire uscire di casa e perdermi in boschi dietro l’angolo: trovare angoli nascosti, la natura che ti circonda improvvisamente e scoprire, senza rinnegare l’amore per le proprie origini, che ci sono posti dove ti senti a tuo agio anche fuori dal tuo ambiente abituale.

cascata del Lambro
Il Lambro un pò in secca…

ciao, sono un giovane/vecchio blogger…

Davanti il futuro, dietro il Lambro…

Cominciano ad arrivare i commenti su questo blog… Devo dire che sono come me li aspettavo: qualche vecchio, caro amico di passaggio. Poi chi cerca di piazzare qualche prodotto, dal betting ai vari investimenti per non parlare di marketing sui generis. Per carità, ognuno cerca di fare il proprio lavoro e fin qui non c’è nulla di male, basta però non cercare di fregare il prossimo… Come è facile leggere da queste note, questo è un blog di osservazioni, note, ricordi, appunti. Senza alcuna pretesa di essere l’influencer di turno: sono mie idee, spesso strampalate, senza alcuna pretesa. A cosa miro? Strappare un sorriso, un ricordo, qualche osservazione o poco più… Poi se involontariamente dovessi trovare un argomento e un’intuizione che sposti le masse, beh, allora mi candido e vediamo cosa succede… Ma dubito. Per adesso, faccio grandi camminate, che aiutano la circolazione e la concentrazione, chiacchiero con il mio cane e con gli amici-di-cane che incontro. Metto da parte pensieri e parole e, se poi me li ricordo, li trascrivo qui. Argomenti seri ce ne sono a bizzeffe, veri, falsi, vie di mezzo e nascosti. Magari qualche volta ci cadrò casualmente, ma non aspettatevi un fustigatore di costumi. Non sarebbe onesto. Io, come la maggioranza delle persone, ho fatto cose buone e altre meno. L’importante, penso, sia esserne coscienti e cercare di non ricaderci (in quelle sbagliate, obviously)… Capiteranno giornate in cui si scrive di leggerezze e altre più pesanti, come succede per tutti e in tutte le vite. Poi la condivisione può aiutare…

SI RIFLETTE…

…in un modo o nell’altro…

…e per farlo bisogna macinare tempo e meningi… Perchè scrivere per scrivere è come parlare per parlare. Riempi file (o fogli, se sei analogico) al posto della bocca e delle orecchie di chi è costretto a sentirti, ma l’effetto è uguale: vuoto cosmico e per niente comico, se non involontariamente.
In questi giorni di pausa-blog ho rivisto vecchi amici, nuovi sconosciuti e persone potenzialmente amiche prossime. E questo mi ha consentito di ragionare, riposare e realizzare un pò di idee e concetti. Se poi abbiniamo a tutto ciò il fatto che lavorativamente è la settimana più scarica dell’anno e quindi anche sul posto di lavoro c’è stato tempo di pensare, direi che non ci si può lamentare. L’unico lato negativo è che col poco da fare ci sono anche pochi stimoli. Il patatone fotografato è stato bravissimo, un vero e proprio Mou Special Can … e quindi anche lui non ha dato spunti se non quello di rilassare e rilassarsi… Se proprio vogliamo trovare qualcosa di negativo, dobbiamo andare a trovare la mia squadra di basket, l’Olimpia Milano, che ha perso l’unica partita che non poteva permettersi di perdere e lo ha fatto anche nel modo più evidente, con Coach Pitino in panchina e Nick Calathes sul campo a spiegarci come si giocano e si allenano queste partite. Ora siamo in quel momento in cui quelli bravi scrivono “… non tutto è perduto, però…” E’ il però che mi preoccupa…

INTERVALLO …

Qualche luna fa…

Oggi è una giornata flat, piatta. Quelle dove fai tutto quello che pensavi di fare, per poi renderti conto che avresti potuto fare molto di più. A contribuire anche il lavoro che non presenta particolari picchi d’interesse visto che questa settimana è priva di tutti i campionati che Sky sta seguendo: calcio, Champions, Europa League, Formula 1, Moto GP… solo qualche rubrica e poco altro. Mettendo assieme le due normalità si ottiene un piattume anormale e in questi casi bisogna avere la forza di inventarsi le cose da fare. Come vedete la normalità permea anche questo post, che non brilla di luce propria… Domani andrà meglio.

Altro giro, altro ricordo…

Sessant’anni prima…
Sessant’anni dopo…

Approfittando di un lavoro in zona sono andato a farmi ancora un pò di male: questa volta tornando dove i miei nonni vivevano e soprattutto dove mio nonno Giovanni Tranquillo Fercioni vestiva le signore dell’epoca, fino al 1961, la vigilia di Natale, quando se ne andò serenamente nel sonno. Poi l’Atelier Fercioni si spostò presso il Palazzo Bagatti Valsecchi in via S. Spirito fino alla sua chiusura, nel 1973… Mi ricordavo l’inquadratura di quella foto in cui mio padre Aldo, Nonno Giovanni e lo zio Ruggero chiacchieravano davanti ad uno degli ingressi del palazzo dove si trovava la sartoria e l’appartamento dei nonni e l’ho voluta riprodurre sessant’anni dopo. Al piano terra e al primo piano (come adesso) c’era la BPM mentre il secondo piano era occupato dai laboratori, uffici, sale di prova e di sfilata della sartoria.. Io sono il più giovane della generazione dei nipoti Fercioni e per me tutto il contorno, allora, non mi toccava più di tanto: il nonno era questo signore coi capelli candidi che vedevo sempre vestito in modo elegante anche quando aveva dei cardigan larghi con grandi tasche dove spesso teneva, a mo di borsetta di Mary Poppins, tutto quello che gli serviva per disegnare, tagliare, imbastire e cucire gli straordinari modelli unici che sfornava. La nonna era come sono le nonne: meravigliose e dolcissime. Te ne accorgi sempre dopo quanto…

QUI DENTRO… (2)

Nell’ordine : camera di mio fratello, la mia e la cucina…

Diciassette anni passati qui dentro, con l’accompagnamento mattiniero dei piccioni che nidificavano tra le tegole e le grondaie. Diciassette anni passati spesso nella mia camera, che in realtà era una mezza stanzona, perché le due finestre a sinistra appartenevano ad un locale solo. Enorme, come tutti i locali di questa casa e per questo fatto dividere da mio padre con una parete che non arrivava fino al soffitto perché altissimo, in due parti uguali: una mia e l’altra di mio fratello. Per dire le dimensioni delle stanze, in quella di mio fratello venivano a provare i (futuri) New Dada ancora non famosi , dato che Maurizio Arceri era suo compagno di classe. Quando finivano, lasciavano batteria e strumenti e io mi divertivo a strimpellare quello che mi capitava sotto mano.
Dentro alle stanze c’era una cosa in comune:

la mia scrivania….

…e un’altra gemella nella metà di mio fratello. Originariamente avevano il piano in cristallo nero da me abilmente rotto con una palla da basket. Dimenticavo, già allora avevo questa fissazione. Al che, dopo averle prese da mio papà, quest’ultimo fece sostituire il piano della scrivania con uno meno distruttibile in legno, lo stesso dove 50 anni dopo sto scrivendo… In quella stanza è nata la mia passione per la radio e per la musica: il tutto cominciava quando andavo a letto. Mi portavo la mia radiolina a onde medie ( la modulazione di frequenza non c’era o se c’era non la conoscevano in molti), e la sera , quando la propagazione elettromagnetica aumentava, si riuscivano a sentire le radio europee in onde medie. In particolare, da mezzanotte alle due di notte trasmetteva Radio Luxembourg in inglese con voci e jingles per allora uniche e irripetibili. Dischi che in Italia con la Rai in pieno periodo Bernabeiano, non ci sognavamo neanche di notte…(continua-2)

mah,boh,chissa’…

tee shot del Golf di Monza

Stamattina ho scattato il solito numero n di foto e questa mi sembrava quella più ottimista: nessuno in giro (anche perché se ti beccano sul Green a portare a spasso il cane e senza essere un socio, sai il mazzo che ti fanno), una luce straordinaria con un’aria limpidissima, il verde delle prime piante a fare presagire una primavera precoce e il sole che t’invitava a toglierti lo smanicato… Poi a integrare questa calma apparente ci hanno pensato i rumori dei motori dell’Autodromo che è a pochi metri da lì: Test di prototipi che giravano sulla pista…

Mi sono sempre chiesto come fanno a convivere i due impianti più famosi, ognuno nel proprio settore, quali Autodromo di Monza e il Golf Club Milano (che nonostante la denominazione è all’interno del Parco Reale di Monza)… Uno spara rumori con decibel a manetta e l’altro dovrebbe richiedere concentrazione, calma e silenzio… Mah, Boh, Chissà…

Qui dentro…

Via Montenapo al 3

Qui dentro c’è una fetta di vita, la mia. Non la più lunga e nemmeno la più recente, ma sicuramente per formazione, ricordi e creazione del mio (a volte pessimo) carattere, la più significativa. Intanto dovete immaginare questo palazzo com’era più o meno cinquant’anni fa: color carbone a causa dello smog milanese, allora anche visibile, altro che “polveri sottili”, fumo vero, molto londinese. I riscaldamenti a Milano in quegli anni erano molto random: tante case portavano ancora i segni della guerra e sicuramente delle industrie che allora convivevano coi cittadini milanesi all’interno della città, e le case avevano a volte ancora le stufe, oltre ai camini. I vetri, ricordo questo particolare nei miei primi anni di vita, erano ” a ricupero”, cioè andavi dal vetraio e chiedevi cosa c’era oggi, come le specialità del giorno: a volte trasparenti, a volte opaline, a volte bugnati…. Quello che veniva ricuperato. per riempire i telai delle finestre. La casa era enorme, circa trecento metri quadri con soffitti minimo di cinque metri. Infatti uno dei miei divertimenti da bambino era, dopo essermi arrampicato su antichi e altissimi armadi, lanciarmi sui letti sottostanti, per poi prendermi sgridate e sculaccioni dai miei oltre ad essermi fatto male da solo… Altro vantaggio delle dimensioni esagerate della casa era avere la possibilità di correre lungo il lunghissimo corridoio, che era diviso a metà tra zona giorno e notte da una porta a vetri. Porta che mio fratello attraversò (fortunatamente senza danni) in volo dopo essere inciampato mentre stavamo giocando. il lato della casa non inquadrato aveva un balcone lungo e stretto con una ringhiera in ferro battuto che si estendeva per tutta la larghezza della casa e che non ispirava molta sicurezza. Attraverso quest’ultimo entravano i rami di un indistruttibile sassofrasso (o spaccasassi, pianta che sopravviverà al genere umano…) che diventavano parte dei giochi del Fercioni bambino. Tra questi giochi, molto più dispendioso, c’era il lancio del cucchiaino (rigorosamente d’argento, sennò non era divertente). Io, piccolino, mangiucchiavo qualcosa sul terrazzo e una volta finito, buttavo il cucchiaino giù, perchè era molto divertente sentire il rumore che faceva. E piaceva molto anche ad alcune lavoranti della sartoria che c’era al piano terra che lo smaterializzavano prima che mia mamma scendesse al piano terra.

(1-continua)