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Qui dentro…

Via Montenapo al 3

Qui dentro c’è una fetta di vita, la mia. Non la più lunga e nemmeno la più recente, ma sicuramente per formazione, ricordi e creazione del mio (a volte pessimo) carattere, la più significativa. Intanto dovete immaginare questo palazzo com’era più o meno cinquant’anni fa: color carbone a causa dello smog milanese, allora anche visibile, altro che “polveri sottili”, fumo vero, molto londinese. I riscaldamenti a Milano in quegli anni erano molto random: tante case portavano ancora i segni della guerra e sicuramente delle industrie che allora convivevano coi cittadini milanesi all’interno della città, e le case avevano a volte ancora le stufe, oltre ai camini. I vetri, ricordo questo particolare nei miei primi anni di vita, erano ” a ricupero”, cioè andavi dal vetraio e chiedevi cosa c’era oggi, come le specialità del giorno: a volte trasparenti, a volte opaline, a volte bugnati…. Quello che veniva ricuperato. per riempire i telai delle finestre. La casa era enorme, circa trecento metri quadri con soffitti minimo di cinque metri. Infatti uno dei miei divertimenti da bambino era, dopo essermi arrampicato su antichi e altissimi armadi, lanciarmi sui letti sottostanti, per poi prendermi sgridate e sculaccioni dai miei oltre ad essermi fatto male da solo… Altro vantaggio delle dimensioni esagerate della casa era avere la possibilità di correre lungo il lunghissimo corridoio, che era diviso a metà tra zona giorno e notte da una porta a vetri. Porta che mio fratello attraversò (fortunatamente senza danni) in volo dopo essere inciampato mentre stavamo giocando. il lato della casa non inquadrato aveva un balcone lungo e stretto con una ringhiera in ferro battuto che si estendeva per tutta la larghezza della casa e che non ispirava molta sicurezza. Attraverso quest’ultimo entravano i rami di un indistruttibile sassofrasso (o spaccasassi, pianta che sopravviverà al genere umano…) che diventavano parte dei giochi del Fercioni bambino. Tra questi giochi, molto più dispendioso, c’era il lancio del cucchiaino (rigorosamente d’argento, sennò non era divertente). Io, piccolino, mangiucchiavo qualcosa sul terrazzo e una volta finito, buttavo il cucchiaino giù, perchè era molto divertente sentire il rumore che faceva. E piaceva molto anche ad alcune lavoranti della sartoria che c’era al piano terra che lo smaterializzavano prima che mia mamma scendesse al piano terra.

(1-continua)