Tutti gli articoli di Giancarlo

Milanese di origini Tosco-Emiliane, Regista Televisivo ex Radiofonico, Copy e Grafico nonché felice padre di famiglia.

QUANTE PALLE…

Sette palloni firmati in sette momenti della mia professione…

Sino a poco tempo fa non avevo tempo di rimpiangere il tempo dedicato alle riprese di questo sport. Passato dall’essere spettatore, poi tifoso, poi narratore in radio, a seguire assistente alla regia per concludere regista, i palloni da basket e chi li usava ( e li usa tuttora), sono sempre stati soggetti di particolare interesse, prima personale poi professionale.
Dal Mc Donald’s Open dell’89 a Roma, primo pallone a sinistra con firme dei Nuggets e di Milano allora sponsorizzata Tracer Philips, per arrivare a quel pallonaccio in gomma colorata sul quale però ci sono tutte le firme della nazionale italiana medaglia d’oro degli Europei di Francia del 1999. Ancora adesso il ricordo più caro da regista televisivo… Poi c’è quello di gara 2 della finale scudetto 2005 con le firme di Milano e poi il ritiro della maglia di Mike D’Antoni, il ritorno di Gallinari ecc. ecc. Adesso, ridotti forzatamente gli impegni da parquet , mi sono messo a fare un pò d’ordine… Arriverò anche a riordinare (lì sarà più difficile) tutti i Pass, anche perché facendo un conto spannometrico di tutte le partite dirette in trent’anni, tra campionato, playoffs, coppe varie, Eurolega, tornei estivi, basket maschile, femminile, lega A2 e compagnia palleggiante siamo sulle diverse centinaia, tante… Più vicino alle mille che alle cinquecento.
Se mi sono annoiato? Avere la fortuna di lavorare su una cosa che ti diverte non è da tutti e quindi anche le poche che mi hanno annoiato me le son fatte andar bene comunque. Come si dice: tirare la lima è un’altra cosa. Essendo stato uno scarsone quando giocavo, ho trovato il modo di fare qualcosa di buono per il basket, non potendolo fare in campo. Spero….

Copia della medaglia d’oro vinta dall’Italia nel 1999

c’era una volta…

Palasport Milano a S.Siro prima della nevicata dell’85

L’altra sera ci ho camminato sopra…
Chissà come mai, gli spunti per questi post provengono sempre da situazioni legate al lavoro. Questa volta, ero a S.Siro per la diretta di una partita di calcio e, stranamente, mi ero affidato ai mezzi pubblici. Per chi non lo sa, ora con la MM linea cinque, lilla per chi guarda i colori, si scende nel piazzale antistante lo stadio Meazza, S.Siro. In quel piazzale fino al 1985 era situato il Palasport dove giocava la Milano del basket e si teneva la sei giorni di ciclismo. A metà del mese di gennaio dopo diversi giorni ininterrotti di neve, il palazzo collassa poche ore dopo che la squadra era uscita dopo gli allenamenti. Da quel momento, un calvario di rinvii, decisioni prese e decisioni mancate, porta alla trasformazione di uno dei più begli impianti del settore di quel periodo in un rudere prima e in una zona di degrado poi. Una volta costruito poi il Forum di Assago dopo il provvisorio (ma ancora esistente) PalaTrussardi rinominato enne volte a seconda degli sponsor e abbandonate le speranze di rivedere l’impianto del basket di fianco a quello del calcio, l’area si trasforma parte in un parcheggio ad uso dello stadio e parte in un “giardino”…

La stessa area nei primi anni 2000

Ma le vicissitudini di questa area non erano ancora finite: per integrare i servizi di trasporto nel periodo pre-Expo, cominciano i lavori della linea metropolitana 5 , che inevitabilmente, prendendo spazio nel piazzale, generano uno spostamento del parcheggio dei pullman dei tifosi e una riduzione dell’area verde…

Il piazzale in questo periodo… (da Mappe )

Uscito dal Tv Compound dello Stadio, come ho scritto a inizio post, ho attraversato l’area verde, calpestando un luogo che da tifoso, ho frequentato assiduamente. Il Palasport, esteticamente bellissimo, non era precisamente l’ideale per chi come me non poteva allora permettersi posti nei parterre o vicini al campo, perché tra le tribune non numerate e il campo c’era l’anello della pista per il ciclismo e questo ti allontanava considerevolmente dal campo. Se non avevi la vista buona potevi fare confusione coi giocatori…

Ricorda pasqua a milano…

per gentile concessione della Fondazione Fiera di Milano

Anche se la “mia” Fiera di Milano non era in bianco e nero ma con i colori Agfa o Kodak di allora, con le dominanti azzurrine i primi e quelle rosse sature le seconde, cadeva sempre in questo periodo dell’anno.
Questi giorni avevano sempre le stesse cose in comune: il tempo che raramente era bello, ma quasi sempre velato o con una pioviggine molto milanese.
Attenzione, questo comunque non creava molti problemi, perchè ci si spostava da un padiglione all’altro, che erano molto vicini. L’altra cosa comune era la caccia al campioncino, di qualsiasi cosa, l’importante era portarlo a casa: dalle bottigliette stampate al momento nei padiglioni della plastica, a quelli degli alimentari, con i tetrapack di latte dallo stand della Centrale del latte. Poi c’era il passa parola tra i vari gruppi di ragazzi: se vedevi che un altro gruppo che aveva qualcosa di nuovo da portare a casa, alè di corsa prima che questo finisse a ricuperarlo.
Meno male che allora non esistevano ne i contapassi e neppure le App che ti dicono quanti chilometri facevi…
E il periodo era sempre vicino o coincidente con la Pasqua, e per chi viveva a Milano e dintorni era un appuntamento fisso, come la fiera degli “oh bej, oh bej” a Sant’Ambrogio, dove potevi trovare qualsiasi cosa, rigorosamente usata e quasi sempre inutile, uguale alla Fiera.
Adesso viene spezzettata in cento fiere specializzate, sicuramente più funzionali per quanto riguarda le vendite e la promozione, ma non hanno più quella funzione di aggregazione che hanno le fiere, dove t’incontri con tante altre persone, scambi opinioni, guardi cose, e, se è il caso, acquisti qualcosa. Sarà meglio così?

UMARELL DI PIETRA…

Chissà se si è salvato…

Traduco per chi non conosce il termine “umarell” , per i non lombardi o per chi non conosce il termine: sono i pensionati o comunque le persone che si fermano ad osservare i cantieri dove lavorano altre persone, spesso dando suggerimenti non richiesti…
Il riferimento ai Gargoyle è facile: Notre Dame (purtroppo) nei prossimi anni sarà un cantiere e i mostri di pietra passeranno dalla funzione originaria di protettori della chiesa a muti osservatori di lavori in corso… Mostri che, non potendo entrare nella zona sacra della chiesa, tengono lontano i malintenzionati stazionando all’esterno. Sono ricordi scolastici dell’ora di storia dell’arte…
Accidenti! Ci sono ricaduto. Mi ero ripromesso di non annoiare con news e , in un modo o nell’altro ci sono ricaduto. Come spesso mi accade in questi giorni, come stimolo per narrare qualcosa, mi immergo nella visione di foto e immagini di cui hard disk e computer sono pieni. Più di quarant’anni di scatti, prima in pellicola e poi digitali, fanno una gran massa di immagini (e di storie collegate). Questa pubblicata insieme a questo post risale al 2006 in un viaggio fatto per festeggiare i miei “primi” cinquant’anni. In quell’occasione abbiamo girovagato per Parigi in lungo e in largo e non potevamo fare a meno di visitare la Cattedrale, salendo i gradini delle torri, con molte pause vista la fatica… Arrivati alle terrazze, il panorama è mozzafiato, un pò come la vista dalla Tour Eiffel o dalla Montparnasse, per non dimenticarci di Montmartre. In effetti Parigi ha molti punti d’osservazione che ti consentono di godere della meraviglia che provoca questa città. Allora non c’erano ancora App contapassi: le avremmo fatte andare fuori scala sicuramente…

tocchiamo ferro… tutto bene…

Mou Cucciolo

Uno di quei giorni che ti guardi intorno, cercando di capire da dove arriverà la mazzata, e questa non si palesa. Pensi che, come tradizione vuole, qualche cosa storta debba arrivare, e invece non arriva. Così continui a rimanere sul chi vive e non ti godi la giornata, che per una volta, una delle poche, è tranquilla. Passeggiata a piedi con Mou al Parco, nessun incontro/scontro con altri cagnoni, anzi: un incontro felicissimo con un suo vecchio (è il caso di dirlo perché ha la rispettabile età di 15 anni) amico. Riconosciuto dopo diversi anni di lontananza e affrontato come se fosse ancora cucciolo, in modo affettuosissimo. Giornata né troppo calda e nemmeno fredda, con una lieve brezza a mitigare il tutto. Siamo così prevenuti verso la felicità (o la più possibile serenità) che quando capita, non ce la godiamo. Dovremmo forse affrontare le giornate più serenamente, tanto se ci deve capitare qualcosa, succede anche se stiamo attenti. Quindi perché rovinare quel poco che ci viene dato? Viviamo serenamente. Se c’incazziamo non cambia nulla e perdiamo la lucidità per affrontare correttamente le cose.
Questo è il tipico post che nasce scrivendolo: originariamente avevo in mente di scrivere d’altro, qualcosa ancora pescando nel mio (lungo) passato, poi ho visto questa foto, ho realizzato che la giornata poteva non essere raccontata perché tutto (sinora) è rimasto nella normalità e da qui è nato…

Mou stamattina, al sorgere del sole…

Un po’ di passato…Tanto per cambiare

Palazzo Bagatti Valsecchi , per un decennio sede dell’Atelier Fercioni

Non c’è niente da fare: quando vado a lavorare a Milano e soprattutto in centro, non riesco a fare a meno di farmi del male. Precedentemente avevo scritto della mia casa, come l’avevo vissuta e le cose che da bambino ci facevo. Ora mi sono spostato di poche centinaia di metri e sono andato dove : a) ho frequentato le scuole elementari. b) L’Atelier Fercioni ha avuto la sua ultima sede. In pratica mi sono spostato da via Montenapoleone a via S.Spirito, una sua trasversale. Negli anni successivi alla scomparsa di mio nonno Giovanni Tranquillo, cioè nei primi anni ’60, l’Atelier viene trasferito da Corso Matteotti al 2 al Palazzo Bagatti Valsecchi in via Santo Spirito al 7. La foto è di questi giorni, ripulito, restaurato e rimesso nelle condizioni originali.

Il portone nel 1970

Di fianco all’ingresso, alla destra, per qualche anno c’è stata anche una boutique, dalla quale si poteva accedere al piano superiore dove c’era l’Atelier mediante una scala a chiocciola.

Questo era il posto dove si trovava la boutique.

La scuola “Luigi Rossari”, era una cinquantina di metri più avanti, verso via della Spiga, ma non l’ho fotografata, non so perchè. Come vedete , oggi siamo sul didascalico. Capita. Mi rifarò prossimamente.

NORMALMENTE…

Normalmente mi tengo lontano dalle macro cose, dai macro avvenimenti. Cerco di scrivere delle cose minime, di quelle più vicine a tutti singolarmente. Oggi però non posso fare a meno di parlare del disastro avvenuto a Parigi. Non dopo che ho visto gli occhi di mia moglie riempirsi di lacrime alle immagini della Cattedrale in fiamme. Nadia ed io siamo dei vecchi innamorati di Parigi e in particolare di questa chiesa che non manchiamo mai di visitare nei nostri viaggi parigini. Sto scrivendo il giorno dopo del fatto e sino ad ora non si sa ancora chi o cosa abbia provocato il rogo. I leoni da tastiera si sbizzarriscono: tutti investigatori, tutti pompieri, tutti “ma lo so io…”… Io ( e la mia famiglia) siamo solo intristiti, forse mia figlia riuscirà a vederla com’era prima, noi sarà molto difficile. Ho passato tutta la sera e questa mattina dividendomi tra i vari tg e la ricerca delle fotografie e dei video girati nei viaggi a Parigi. Ho postato questa clip di pochi minuti, girata durante una Messa cantata: una cosa da pelle d’oca. L’acustica, l’ambiente meraviglioso, il coro tutti con delle tuniche bianche e turchesi…

STAGIONOPATICO

Il Castello Sforzesco dal Duomo di Milano

Ho barato, lo ammetto! Queste sono foto di dieci anni fa, quando la skyline di Milano era ancora come quando ero giovane. Non c’erano ancora i nuovi grattacieli, il quartiere Isola era ancora l’unico sopravvissuto alle bombe alleate, piazza Gae Aulenti era ancora di là da venire, la zona del Portello era ancora quella della vecchia Fiera di Milano o quasi e s’intravedeva appena appena il cantiere del nuovo palazzo della Regione Lombardia.

Il Pirellone e la Torre Breda

Allora, se dovevi rappresentare Milano in sintesi, avresti messo il Duomo, il teatro della Scala, il castello Sforzesco, la torre Velasca, La Basilica di Sant’Ambrogio, le Colonne di san Lorenzo, la Galleria e il grattacielo Pirelli. Ma stava per cambiare tutto in previsione dell’Expo che avrebbe portato milioni di visite nel 2015. Stavano per partire (alcuni lo erano già) cantieri ovunque, per la gioia degli ùmarell milanesi ( nota per i non lombardi: gli ùmarell sono gli anziani che si mettono a guardare e commentare i cantieri…) . Intendiamoci, Milano, dal punto di vista architettonico, anche adesso è bellissima, ma la mia Milano, quella che ho vissuto da ragazzo, mi piaceva di più. Forse meno internazionale, sicuramente più grigia a causa dello smog e della nebbia che si spingeva fino in centro, ma con delle atmosfere che ora non ci sono più. Era una città da fotografare in bianco e nero e con tutte le sfumature di grigio: da qualche parte devo avere ancora dei negativi di foto scattate sui navigli e nel Parco Sempione in mezzo alla nebbia che raccontavano cos’era Milano. Anche via Montenapoleone, l’attuale quadrilatero della moda, allora aveva tutta la gamma dei grigi a colorarla. I Bus allora lontani dai filtri antiparticolato e i riscaldamenti molto eterogenei aiutavano questa Milano B/W. Molte industrie erano ancora all’interno della città e questo aveva come effetto secondario di abbassare le falde acquifere milanesi e di rendere “milanese” il cielo. Manzoni lo aveva visto prima della rivoluzione industriale e sapeva quanto fosse “… così bello, quando è bello, così splendido, così in pace…” . Infatti ho dei colleghi romani, con i quali c’era a distanza lo scambio di battute sulla querelle Roma-Milano, che quando sono venuti a lavorare a Milano, sono rimasti stupiti dalla bellezza di questa città…

OLYMPUS DIGITAL CAMERA

HIS MASTER’S VOICE.. Hic es magister loquitor leones

vecchio grammofono tra gli arredi di un hotel…

Altro reperto, delle decine di migliaia di foto scattate in questi anni… Ricordo che questo grammofono era in un ristorante romagnolo, dove campeggiavano, in ogni angolo lasciato libero, grammofoni, vecchie radio, televisori ancora con l’occhio magico, tutti rigorosamente in mobili massicci d’epoca. Perchè questo tema fotografico? Perchè mi rendo conto che visualizza l’idea di comunicazione/condivisione/amplificazione di un blog… Il disco sono le mille idee che passano per la testa scritte/incise, la puntina è il blog scritto e la tromba è il web, dove si possono leggere/ascoltare. Poi se il disco non piace si cambia… Sono giornate strane, forse perchè quando si lavora in orari inconsueti, diventa tutto altrettanto inconsueto e anche le cose che normalmente “passano”, si diventa meno disponibili ad accettarle. Paradossalmente altre, decisamente più strane diventano normali. Poi la comunicazione intensiva di questi tempi dove ti viene detto e scritto tutto e il suo contrario, ti abitua a filtrare di meno le cose, così ti capita di digerire l’indigeribile e poi di fare le pulci a cose minime. Insomma è tutto un “rebelòtt” (dialetto lombardo da termine francese: confusione, trambusto). E questo rebelòtt nel grammofono del Web si moltiplica senza speranza… Perchè nonostante i programmatori e gli smanettoni di professione, non è ancora stato trovato l’algoritmo della verità e spesso vengono passate per vere autentiche bufale. Se poi sommiamo a questo che l’educazione, familiare e scolastica, è peggiorata anche da noi dove c’era prima una maggiore abitudine al ragionamento e alla critica, le cose diventano ancora più difficoltose. La diminuzione di regole e “paletti” se prima ha aumentato le capacità creative di molti, ne ha tolto anche i limiti e la capacità di rispettare il prossimo. Da qui i leoni da tastiera impazzano, nascosti dietro un anonimato preoccupante.
Come vedete oggi si salta di palo in frasca, idee sparse e ben mischiate… Non vi preoccupate, poi passa…

ALDì

Qualcosa in comune?

Nel 1990 Fabio Concato pubblicò una canzone dedicata a suo papà, “Gigi” cioè Gianluigi Piccaluga, ottimo musicista e appassionato divulgatore di jazz e musica brasiliana: vero ispiratore per suo figlio. Canzone che inevitabilmente mi provoca quello che in Lombardia viene chiamato “magone”, ovvero quell’emozione che ti porta molto vicino al pianto. Un pò per la capacità che Concato ha nello smuovere le emozioni con la sua musica e la sua poesia e un pò perchè io , il mio papà l’ho perso quando avevo 22 anni. Un’età nella quale cominci a capire che i genitori non sono un ostacolo alle pretese di ex-adolescente, ma che le intenzioni e le cose che ti dicono e fanno, sono per prepararti al “dopo”.
Mio padre , Aldo Fercioni, figlio di uno dei più creativi e bravi sarti italiani dagli anni ’20 ai ’60 Giovanni Tranquillo Fercioni, mi ha insegnato cose semplici: ad essere una persona onesta, gentile, a saper trovare nelle cose il lato giusto e spesso, in quelle più serie saper trovare il lato buffo. Quello c’è sempre, anzi: più le cose sono apparentemente serie e più, se guardi bene, c’è un lato che ti fa sorridere.
Mia mamma lo conobbe in tempo di guerra, lui ricoverato in un ospedale militare in seguito alla ritirata in Russia e lei infermiera. Lo conobbe mentre, circondato da altre infermiere, stava organizzando uno spettacolo e stava assegnando le parti… Ad essere sincero mio papà non era un Adone, statura media, fisico da atleta però, formato dall’atletica e dalla boxe che aveva praticato ai tempi dell’università, ma una comunicativa che oltrepassava questo limite e te lo faceva ascoltare sempre, spesso a bocca aperta…
Forse, se fosse rimasto ancora un pò con noi, molte cose sarebbero cambiate o forse no, ma sarebbe comunque stato bello…

Io e papà: una delle poche foto insieme..