UMARELL DI PIETRA…

Chissà se si è salvato…

Traduco per chi non conosce il termine “umarell” , per i non lombardi o per chi non conosce il termine: sono i pensionati o comunque le persone che si fermano ad osservare i cantieri dove lavorano altre persone, spesso dando suggerimenti non richiesti…
Il riferimento ai Gargoyle è facile: Notre Dame (purtroppo) nei prossimi anni sarà un cantiere e i mostri di pietra passeranno dalla funzione originaria di protettori della chiesa a muti osservatori di lavori in corso… Mostri che, non potendo entrare nella zona sacra della chiesa, tengono lontano i malintenzionati stazionando all’esterno. Sono ricordi scolastici dell’ora di storia dell’arte…
Accidenti! Ci sono ricaduto. Mi ero ripromesso di non annoiare con news e , in un modo o nell’altro ci sono ricaduto. Come spesso mi accade in questi giorni, come stimolo per narrare qualcosa, mi immergo nella visione di foto e immagini di cui hard disk e computer sono pieni. Più di quarant’anni di scatti, prima in pellicola e poi digitali, fanno una gran massa di immagini (e di storie collegate). Questa pubblicata insieme a questo post risale al 2006 in un viaggio fatto per festeggiare i miei “primi” cinquant’anni. In quell’occasione abbiamo girovagato per Parigi in lungo e in largo e non potevamo fare a meno di visitare la Cattedrale, salendo i gradini delle torri, con molte pause vista la fatica… Arrivati alle terrazze, il panorama è mozzafiato, un pò come la vista dalla Tour Eiffel o dalla Montparnasse, per non dimenticarci di Montmartre. In effetti Parigi ha molti punti d’osservazione che ti consentono di godere della meraviglia che provoca questa città. Allora non c’erano ancora App contapassi: le avremmo fatte andare fuori scala sicuramente…

tocchiamo ferro… tutto bene…

Mou Cucciolo

Uno di quei giorni che ti guardi intorno, cercando di capire da dove arriverà la mazzata, e questa non si palesa. Pensi che, come tradizione vuole, qualche cosa storta debba arrivare, e invece non arriva. Così continui a rimanere sul chi vive e non ti godi la giornata, che per una volta, una delle poche, è tranquilla. Passeggiata a piedi con Mou al Parco, nessun incontro/scontro con altri cagnoni, anzi: un incontro felicissimo con un suo vecchio (è il caso di dirlo perché ha la rispettabile età di 15 anni) amico. Riconosciuto dopo diversi anni di lontananza e affrontato come se fosse ancora cucciolo, in modo affettuosissimo. Giornata né troppo calda e nemmeno fredda, con una lieve brezza a mitigare il tutto. Siamo così prevenuti verso la felicità (o la più possibile serenità) che quando capita, non ce la godiamo. Dovremmo forse affrontare le giornate più serenamente, tanto se ci deve capitare qualcosa, succede anche se stiamo attenti. Quindi perché rovinare quel poco che ci viene dato? Viviamo serenamente. Se c’incazziamo non cambia nulla e perdiamo la lucidità per affrontare correttamente le cose.
Questo è il tipico post che nasce scrivendolo: originariamente avevo in mente di scrivere d’altro, qualcosa ancora pescando nel mio (lungo) passato, poi ho visto questa foto, ho realizzato che la giornata poteva non essere raccontata perché tutto (sinora) è rimasto nella normalità e da qui è nato…

Mou stamattina, al sorgere del sole…

Un po’ di passato…Tanto per cambiare

Palazzo Bagatti Valsecchi , per un decennio sede dell’Atelier Fercioni

Non c’è niente da fare: quando vado a lavorare a Milano e soprattutto in centro, non riesco a fare a meno di farmi del male. Precedentemente avevo scritto della mia casa, come l’avevo vissuta e le cose che da bambino ci facevo. Ora mi sono spostato di poche centinaia di metri e sono andato dove : a) ho frequentato le scuole elementari. b) L’Atelier Fercioni ha avuto la sua ultima sede. In pratica mi sono spostato da via Montenapoleone a via S.Spirito, una sua trasversale. Negli anni successivi alla scomparsa di mio nonno Giovanni Tranquillo, cioè nei primi anni ’60, l’Atelier viene trasferito da Corso Matteotti al 2 al Palazzo Bagatti Valsecchi in via Santo Spirito al 7. La foto è di questi giorni, ripulito, restaurato e rimesso nelle condizioni originali.

Il portone nel 1970

Di fianco all’ingresso, alla destra, per qualche anno c’è stata anche una boutique, dalla quale si poteva accedere al piano superiore dove c’era l’Atelier mediante una scala a chiocciola.

Questo era il posto dove si trovava la boutique.

La scuola “Luigi Rossari”, era una cinquantina di metri più avanti, verso via della Spiga, ma non l’ho fotografata, non so perchè. Come vedete , oggi siamo sul didascalico. Capita. Mi rifarò prossimamente.

NORMALMENTE…

Normalmente mi tengo lontano dalle macro cose, dai macro avvenimenti. Cerco di scrivere delle cose minime, di quelle più vicine a tutti singolarmente. Oggi però non posso fare a meno di parlare del disastro avvenuto a Parigi. Non dopo che ho visto gli occhi di mia moglie riempirsi di lacrime alle immagini della Cattedrale in fiamme. Nadia ed io siamo dei vecchi innamorati di Parigi e in particolare di questa chiesa che non manchiamo mai di visitare nei nostri viaggi parigini. Sto scrivendo il giorno dopo del fatto e sino ad ora non si sa ancora chi o cosa abbia provocato il rogo. I leoni da tastiera si sbizzarriscono: tutti investigatori, tutti pompieri, tutti “ma lo so io…”… Io ( e la mia famiglia) siamo solo intristiti, forse mia figlia riuscirà a vederla com’era prima, noi sarà molto difficile. Ho passato tutta la sera e questa mattina dividendomi tra i vari tg e la ricerca delle fotografie e dei video girati nei viaggi a Parigi. Ho postato questa clip di pochi minuti, girata durante una Messa cantata: una cosa da pelle d’oca. L’acustica, l’ambiente meraviglioso, il coro tutti con delle tuniche bianche e turchesi…

STAGIONOPATICO

Il Castello Sforzesco dal Duomo di Milano

Ho barato, lo ammetto! Queste sono foto di dieci anni fa, quando la skyline di Milano era ancora come quando ero giovane. Non c’erano ancora i nuovi grattacieli, il quartiere Isola era ancora l’unico sopravvissuto alle bombe alleate, piazza Gae Aulenti era ancora di là da venire, la zona del Portello era ancora quella della vecchia Fiera di Milano o quasi e s’intravedeva appena appena il cantiere del nuovo palazzo della Regione Lombardia.

Il Pirellone e la Torre Breda

Allora, se dovevi rappresentare Milano in sintesi, avresti messo il Duomo, il teatro della Scala, il castello Sforzesco, la torre Velasca, La Basilica di Sant’Ambrogio, le Colonne di san Lorenzo, la Galleria e il grattacielo Pirelli. Ma stava per cambiare tutto in previsione dell’Expo che avrebbe portato milioni di visite nel 2015. Stavano per partire (alcuni lo erano già) cantieri ovunque, per la gioia degli ùmarell milanesi ( nota per i non lombardi: gli ùmarell sono gli anziani che si mettono a guardare e commentare i cantieri…) . Intendiamoci, Milano, dal punto di vista architettonico, anche adesso è bellissima, ma la mia Milano, quella che ho vissuto da ragazzo, mi piaceva di più. Forse meno internazionale, sicuramente più grigia a causa dello smog e della nebbia che si spingeva fino in centro, ma con delle atmosfere che ora non ci sono più. Era una città da fotografare in bianco e nero e con tutte le sfumature di grigio: da qualche parte devo avere ancora dei negativi di foto scattate sui navigli e nel Parco Sempione in mezzo alla nebbia che raccontavano cos’era Milano. Anche via Montenapoleone, l’attuale quadrilatero della moda, allora aveva tutta la gamma dei grigi a colorarla. I Bus allora lontani dai filtri antiparticolato e i riscaldamenti molto eterogenei aiutavano questa Milano B/W. Molte industrie erano ancora all’interno della città e questo aveva come effetto secondario di abbassare le falde acquifere milanesi e di rendere “milanese” il cielo. Manzoni lo aveva visto prima della rivoluzione industriale e sapeva quanto fosse “… così bello, quando è bello, così splendido, così in pace…” . Infatti ho dei colleghi romani, con i quali c’era a distanza lo scambio di battute sulla querelle Roma-Milano, che quando sono venuti a lavorare a Milano, sono rimasti stupiti dalla bellezza di questa città…

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HIS MASTER’S VOICE.. Hic es magister loquitor leones

vecchio grammofono tra gli arredi di un hotel…

Altro reperto, delle decine di migliaia di foto scattate in questi anni… Ricordo che questo grammofono era in un ristorante romagnolo, dove campeggiavano, in ogni angolo lasciato libero, grammofoni, vecchie radio, televisori ancora con l’occhio magico, tutti rigorosamente in mobili massicci d’epoca. Perchè questo tema fotografico? Perchè mi rendo conto che visualizza l’idea di comunicazione/condivisione/amplificazione di un blog… Il disco sono le mille idee che passano per la testa scritte/incise, la puntina è il blog scritto e la tromba è il web, dove si possono leggere/ascoltare. Poi se il disco non piace si cambia… Sono giornate strane, forse perchè quando si lavora in orari inconsueti, diventa tutto altrettanto inconsueto e anche le cose che normalmente “passano”, si diventa meno disponibili ad accettarle. Paradossalmente altre, decisamente più strane diventano normali. Poi la comunicazione intensiva di questi tempi dove ti viene detto e scritto tutto e il suo contrario, ti abitua a filtrare di meno le cose, così ti capita di digerire l’indigeribile e poi di fare le pulci a cose minime. Insomma è tutto un “rebelòtt” (dialetto lombardo da termine francese: confusione, trambusto). E questo rebelòtt nel grammofono del Web si moltiplica senza speranza… Perchè nonostante i programmatori e gli smanettoni di professione, non è ancora stato trovato l’algoritmo della verità e spesso vengono passate per vere autentiche bufale. Se poi sommiamo a questo che l’educazione, familiare e scolastica, è peggiorata anche da noi dove c’era prima una maggiore abitudine al ragionamento e alla critica, le cose diventano ancora più difficoltose. La diminuzione di regole e “paletti” se prima ha aumentato le capacità creative di molti, ne ha tolto anche i limiti e la capacità di rispettare il prossimo. Da qui i leoni da tastiera impazzano, nascosti dietro un anonimato preoccupante.
Come vedete oggi si salta di palo in frasca, idee sparse e ben mischiate… Non vi preoccupate, poi passa…

ALDì

Qualcosa in comune?

Nel 1990 Fabio Concato pubblicò una canzone dedicata a suo papà, “Gigi” cioè Gianluigi Piccaluga, ottimo musicista e appassionato divulgatore di jazz e musica brasiliana: vero ispiratore per suo figlio. Canzone che inevitabilmente mi provoca quello che in Lombardia viene chiamato “magone”, ovvero quell’emozione che ti porta molto vicino al pianto. Un pò per la capacità che Concato ha nello smuovere le emozioni con la sua musica e la sua poesia e un pò perchè io , il mio papà l’ho perso quando avevo 22 anni. Un’età nella quale cominci a capire che i genitori non sono un ostacolo alle pretese di ex-adolescente, ma che le intenzioni e le cose che ti dicono e fanno, sono per prepararti al “dopo”.
Mio padre , Aldo Fercioni, figlio di uno dei più creativi e bravi sarti italiani dagli anni ’20 ai ’60 Giovanni Tranquillo Fercioni, mi ha insegnato cose semplici: ad essere una persona onesta, gentile, a saper trovare nelle cose il lato giusto e spesso, in quelle più serie saper trovare il lato buffo. Quello c’è sempre, anzi: più le cose sono apparentemente serie e più, se guardi bene, c’è un lato che ti fa sorridere.
Mia mamma lo conobbe in tempo di guerra, lui ricoverato in un ospedale militare in seguito alla ritirata in Russia e lei infermiera. Lo conobbe mentre, circondato da altre infermiere, stava organizzando uno spettacolo e stava assegnando le parti… Ad essere sincero mio papà non era un Adone, statura media, fisico da atleta però, formato dall’atletica e dalla boxe che aveva praticato ai tempi dell’università, ma una comunicativa che oltrepassava questo limite e te lo faceva ascoltare sempre, spesso a bocca aperta…
Forse, se fosse rimasto ancora un pò con noi, molte cose sarebbero cambiate o forse no, ma sarebbe comunque stato bello…

Io e papà: una delle poche foto insieme..

nota le note…

Chi dice che i cani non sono romantici?

Intanto una annotazione per tutti i lettori di questo blog: sto cercando di rispondere a tutti e un pò alla volta spero di riuscirci…
Un tempo, quando giocavo solo con vari siti di cui non ho mai capito l’impatto, citavo il “club dei 23” di Guareschiana memoria: quello che lui, un pò giocando e un pò credendoci indicava come i suoi lettori. Calcolando che ancora adesso, dopo decenni dalla sua scomparsa, è lo scrittore italiano più tradotto al mondo, forse sono un pò di più. Adesso mi trovo ad avere, non so in base a quale innesco esplosivo, continue iscrizioni… Strana tempora currunt… Come è facile vedere, scorrendo i vari post di questi mesi, non c’è un tema particolare. Ho guardato qualche blog in giro e, a parte gli “influencer” (io lo sono solo quando ho la febbre e la tosse..), gli argomenti sono mirati, spesso legati alla professione di chi li scrive e i temi trattati anche. Questo blog è come me: tante idee, neanche messe in fila, scritte a seconda dell’umore e dei suggerimenti del giorno. Neanche l’attualità mi sfiora, se non quando scrivo di basket: il resto è storia, preistoria, osservazioni, ragionamenti ecc. il tutto shakerato e messo lì, un pò alla rinfusa.
Oggi, a parte il poco riposo dovuto all a fine dell’ultimo studio finito all’una di notte, con relativo rimbambimento, la giornata è partita bene, con una passeggiata rilassante con Mou in versione “son tornato cucciolo”, quindi con giochi insieme ad altri cani, disponibile e bravo, durata i soliti cinque chilometri circa.

mezza giornata…

Poi adesso al computer e poi, dopo pranzo, altra giornata/nottata di lavoro… Particolari osservazioni ? A parte la cosa buffa di un cantiere aperto di fianco ad una casa di riposo per anziani, non molto altro.
Come vedete ci sono post che raccontano la routine quotidiana: club dei 2,3, arrivo…

IL DOTT. CANIGATTI…. (1)

Altro vecchio sito… altra mia fissazione…

Non è difficile da intuire il mio amore assoluto per cani e gatti, anche nei lunghi periodi durante i quali non ne ho potuti avere… Dai cagnoni che aveva mio nonno Giovanni, alle bassottine a pelo lungo che avevano gli zii Ruggero e Paola, Rebecca e poi Carlotta, al Beagle di mio fratello per arrivare alla mia Penny, seguita da Tea e 26 anni dopo da Mou. Non mi sto dimenticando dei gatti, ci mancherebbe: quando arrivò la Tea nell’80 , pochi giorni dopo la morte della Penny, quasi contemporaneamente comparve (nel vero senso della parola) la prima Titta, silvestrina bianca e nera. Scrivo “comparve” perchè fu un’apparizione nel vero senso della parola…
In quei giorni lavoravo presso Radio Play a Lissone e mentre stavo andando al lavoro durante un giorno di pioggia, nei pressi della radio, fermo ad un semaforo sento una specie di pigolio sommesso. Abbasso gli occhi verso una siepe da dove veniva il suono e vedo il classico riflesso di due minuscoli cristallini. Mi fermo con la macchina, scendo, mi chino verso la siepe ed ecco che mi viene incontro questo topino di neanche due mesi. Da quel momento, per molti anni fu la compagnia della mia famiglia. I primi anni , insieme alla Tea erano una associazione a delinquere: giocando ne facevano di tutti i colori. Un esempio? Mia mamma aveva una vecchia specchiera d’epoca dove, nel ripiano basso e stretto teneva i bigodini per la messa in piega in un sacchetto, in fondo per evitare che il cane ci potesse giocare. Cosa facevano “attenti a quei due”? La Titta (che prima di scoprire che era una femminuccia avevamo battezzato Teo…) si infilava nello spazio interno del ripiano, spingeva con le zampine fuori il sacchetto, e la Tea, da bravo cucciolo li masticava fino renderli buoni come arte moderna… Poi c’erano i momenti in cui Tea voleva convincere la Titta a giocare quando questa non voleva e allora vedevi che, modello mamma, la prendeva o per il coppino o addirittura con tutta la testa in bocca e se la portava in giro fino a quando il gatto si arrendeva e cominciava a giocare… (1-continua)

Titta (ex-Teo)
Tea cucciola

Nomen omen…

un vecchio banner di molti siti fa…

Non voglio tediare chi non è interessato riguardo a storie di famiglia… per quello c’è già il sito www.fercioni.com.
Invece la mia intenzione è quella ricercare di spiegare cosa può significare il portarsi dietro un cognome “pesante” o che in passato lo è stato. Senza entrare nel merito, il mio lo è stato grazie a mio nonno e ai miei genitori e zii.
Questo , per lo meno è una mia sensazione, ha condizionato una buona parte della mia vita e , almeno un pò, lo fa tuttora. Lasciando da parte l’orgoglio di aver avuto nel mio passato persone che hanno fatto cose importanti, l’eredità mentale è quella di dover essere e rimanere al loro livello. Cioè di fare qualcosa di significativo, qualcosa che nel futuro faccia dire a mia figlia o a persone vicine di essere stati orgogliosi di me.
Il lato negativo è che poi diventa una catena quasi inevitabile e non so se questo sia giusto. Il rischio è quello di far diventare tutto ciò un peso o un aratro, una cosa che invece di stimolare possa poi frenare la propria strada normale.
Intendiamoci, non sono poi sicuro che questo magari non abbia influito, quando si è trattato di scegliere un mestiere, tra alcuni forse più remunerativi e anonimi e altri potenzialmente più evidenti ma magari meno “interessanti”. Tutto sommato spero di aver fatto le mie scelte nella vita, lavorativa e non, in base a quello che mi interessava fare di più e non quello che mi avrebbe fatto guadagnare maggiormente. Qui ci saranno commenti sicuramente ironici o negativi. Spero che qualcuno che capisca la cosa ci sia. Faccio ancora il regista televisivo da trent’anni e da più di quaranta considerando precedentemente la radio e la televisione con altre mansioni. Avrei potuto continuare a fare il copy o il grafico o finire architettura e lavorare su altri tipi di idee. Invece sono ancora qui, con uno stipendio come tanti che lavorano come dipendenti, sicuramente non male ma senza essermi arrampicato a tutti i costi più in alto. Fondamentalmente non mi interessava farlo: fino ad un paio d’anni fa ho lavorato su cose che mi piaceva fare, adesso per contingenze differenti magari un pò meno… Ma come si usa dire :”… tirare la lima e lavorare in fonderia, sono un’altra cosa…”